top of page

GUERRA MODERNA, VIOLENZA DI MASSA

 

Il fascismo insisté molto, nella sua propaganda, sul carattere moderno della campagna d'Etiopia.

In effetti spostamenti a grande distanza di truppe, aerei, camion, carri armati, telegrafo, tutto sembrava dare l'idea di una guerra «modernista» se non addirittura «futurista», per asseverare la quale sentì persino di doversi scomodare l'ormai sessantenne Filippo Tommaso Marinetti.

Nicola Labanca, La guerra d'Etiopia 1935-1941, il Mulino, Bologna, 2015, p. 131

 

 

Con Badoglio saranno impiegati per la prima volta sul fronte nord l'iprite e i gas asfissianti, che il fascistissimo De Bono non ha creduto opportuno usare Da guerra coloniale, fatta alla garibaldina, la guerra si fa di annientamento, di distruzione. Anche a costo, come dice una canzone spavalda di Alessandro Pavolini, di «rifare la geografia bombardandola».

Angelo Del Boca, La guerra d'Etiopia. L'ultima impresa del colonialismo, Longanesi, Milano, 2010, p. 125

 

Graziani conta anche di ricorrere (come poi farà in grande misura) alla guerra chimica, per cui l'8 settembre [1935] sollecita il generale Baistrocchi ad inviargli 55 mila maschere antigas e 60mila fra proiettili d'artiglieria, bidoni a scoppio, candele, caricati con iprite, arsine, fosforo e gas lacrimogeni.

Angelo Del Boca, La guerra d'Etiopia. L'ultima impresa del colonialismo, Longanesi, Milano, 2010, p. 93

 

I gas furono utilizzati nelle operazioni di polizia coloniale anche dopo la proclamazione dell'impero del maggio 1936, non perché ce ne fosse davvero bisogno, dato che a quel punto i nemici erano ridotti in piccoli gruppi di guerriglieri poco numerosi, ma perché servivano per terrorizzare la popolazione.

Matteo Dominioni, Lo sfascio dell'impero, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 34

 

 

PROPAGANDA IMPERIALE E MOBILITAZIONE

 

La conquista dell'Etiopia è la vera guerra fascista, la guerra organica al regime, decisa, impostata e condotta secondo esigenze proprie, essenzialmente di prestigio, con un rapporto di forze grandemente favorevole.

Giorgio Rochat, Le guerre del fascismo, in Storia d'Italia, Annali n. 18: Guerra e pace, Einaudi, Torino, 2002, p. 698.

 

L'esercito che ha attraversato l'Etiopia … è un esercito di cristiani, che è partito dall'Italia per regolare vecchi conti, ma anche, a sentire la propaganda del regime, con la nobilissima missione di portare la civiltà in un paese semibarbaro.

Ma noi sappiamo che non è andata così. Non è stato per vendicare Adua che Mussolini ha organizzato la più grande e costosa impresa coloniale di tutti i tempi.... Ma per scatenare una guerra di sterminio con il preciso proposito di creare larghi vuoti nel paese da riempire con milioni di italiani affamati di terre.

Angelo Del Boca, La guerra d'Etiopia. L'ultima impresa del colonialismo, Longanesi, Milano, 2010, p. 15

 

Non si può assolutamente negare che fra il 5 e il 9 maggio 1936 il popolo italiano abbia vissuto uno dei periodi di maggiore unità, di più ardente passione e di sconfinata speranza nei più luminosi destini della patria.

Angelo Del Boca, La guerra d'Etiopia. L'ultima impresa del colonialismo, Longanesi, Milano, 2010, p. 243

​

Con l’aggressione all’Etiopia del 1935-36 l’opinione pubblica italiana viene mobilitata da un apparato propagandistico, saldamente controllato dallo stato e dal partito, che attinge pienamente, rielaborandolo, a un consolidato bagaglio ideologico che unisce il mito di Roma civilizzatrice all’esaltazione della forza e della razza, sposando ambizioni imperiali e ‘colonialismo sociale’ […]

Sin dall’inizio la guerra assume il carattere e le dimensioni di una guerra nazionale piuttosto che coloniale.

Silvana Palma, L’Italia coloniale, Editori Riuniti, Roma, 1999, p. 22.

​

Per decenni la guerra del 1935-1936 è stata indicata come il momento di maggior consenso nei confronti del fascismo, che aveva utilizzato le sanzioni della Società delle Nazioni nei confronti dell'Italia come un'occasione per compattare gli italiani attorno a sentimenti di unità e orgoglio nazionale e usarli a sostegno di Mussolini e del regime. Anche ora che le dimensioni effettive di quel consenso iniziano a essere messe in discussione, resta indubbio che in quell'anno di guerra il regime mise in funzione un macchinario propagandistico di imponenti dimensioni, pensato e realizzato con precisione, incaricato di orchestrare il discorso pubblico attorno alle prospettive imperiali della nazione, al ruolo dell'Italia nel contesto internazionale, alla posizione degli italiani nei confronti delle popolazioni africane.

Valeria Deplano, L'Africa in casa. Propaganda e cultura coloniale nell'Italia fascista, Le Monnier, Milano, 2015, pp. 105-106

​

Le motivazioni che indussero Mussolini a scatenare la guerra contro l'Etiopia furono di carattere sia interno che esterno. Con una guerra altamente ideologica e di ampie dimensioni, intravedeva l'opportunità di allargare e consolidare il consenso tra la popolazione a tutti i livelli. A ragion veduta il duce reputava che gli italiani, elevatisi sul piano dell'impero, come egli disse, gli sarebbero stati riconoscenti: gli industriali si sarebbero arricchiti con le commesse belliche e per l'avvaloramento dell'Oltremare; il ceto medio con l'ampliamento dei ministeri, quindi della burocrazia, avrebbe accresciuto la sua importanza nella società; il proletariato avrebbe condiviso una fetta della torta considerando la mobilitazione, l'ampliamento della produzione e i ventilati progetti di colonizzazione demografica. Le mire espansionistiche del capo del fascismo erano soprattutto di natura politica, al fine di accrescere il consenso interno, una prospettiva tutto sommato di breve o medio periodo e piuttosto minimalista.

Matteo Dominioni, Lo sfascio dell'impero, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 9

 

La mobilitazione italiana assunse dimensioni straordinarie, l'invasione dell'Etiopia fu la più grande guerra coloniale di sempre per numero di uomini, copia e modernità di mezzi, rapidità di approntamento.

Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi, Torino, 2005, p. 35

​

L'esaltazione che contraddistinse a livello di opinione pubblica le giornate del maggio '36 fu - lo riconobbe anche l'antifascismo militante - senza precedenti. L'entusiasmo che accompagnò la fine della guerra, la proclamazione dell'Impero e il riconoscimento del fatto compiuto, implicito nella revoca delle sanzioni, riguardò la stragrande maggioranza della popolazione italiana e coinvolse con grande intensità i cattolici. La vittoria e l'Impero vennero salutati da questo importante segmento della società italiana con entusiasmi che sono stati definiti "quasi deliranti"... Al clima di esaltazione imperiale vescovi, clero, intellettuali, dirigenti cattolici presero parte attiva.

 

 

UN EVENTO GLOBALE

 

La guerra d'Etiopia cantata dalla propaganda fascista nel 1935-1936, che avrebbe dovuto dare un impero al regime, in forme diverse si era in realtà prolungata sino al 1941 e rappresentò il primo passo per la scomparsa del fascismo stesso. … Questa lunga guerra d'Etiopia protrattasi dal 1935 al 1941 rappresentò insomma un evento davvero rilevante. Per la sua eco e per la sua rilevanza, si farebbe torto a considerarla un evento locale, localizzato nel corno d'Africa. L'aggressione del regime fascista italiano all'impero d'Etiopia fra 1935 e 1936 fu infatti un evento di portata globale... Solo una visione banalizzante può definire quello scontro una «guerra coloniale»... Fu un conflitto che mise in allarme tutte le cancellerie diplomatiche di tutte le maggiori potenze. Fu una guerra che mise in moto attori diversi anche lontanissimi fra loro e distanti dal suo teatro militare.

Nicola Labanca, La guerra d'Etiopia 1935-1941, il Mulino, Bologna, 2015, p. 10

​

La parola «impero» sostituì nel lessico corrente il termine «imperialismo». Essa, pronunciata da tempo dai britannici con orgoglio e soddisfazione, divenne popolare anche in Francia. Gli italiani, nel 1936, le diedero addirittura un riconoscimento ufficiale quando fu adottata dal governo, dopo la conquista dell'Etiopia; poco dopo, essi diedero il nome Impero a una corazzata appena varata. La conquista italiana può essere considerata una clamorosa eccezione, dal momento che ormai l'impero per i suoi propugnatori significava più di ogni altra cosa sviluppo economico e responsabilità politica.

Raymond F. Betts, La decolonizzazione, il Mulino, Bologna, 1998, pp. 21-22.

​

Historical explanations have either downplayed or failed to consider a fundamental element: Mussolini's ideology – his obsession with population demographics and his social Darwinist worldview... First, Mussolini hoped to spark resurgence in Italy's birthrate, which he viewed as a vital aspect of Italian Power. More births meant more people and more national vitality. As Britain and France faced demographic decline, the creation of a settlement colony – a colony that would create a new, growing, ethnically Italian demographic outlet – would tilt the balance of power towards Italy, fully utilizing the work of Italy's often under-employed peasant labourers. Second, Mussolini, also saw the occupation of colonies through a social Darwinist lens. Increased national territory, wealth and population base would allow Italy to compete with the Great Powers for the domination of the Mediterranean basin. At the same time, the destruction of Ethiopia's military would create stable, secure colonies in East Africa, removing a threat to Italy's imperial foothold.

Bruce Strang, Collision of Empires: Italy’s Invasion of Ethiopia and Its International Impact, Ashgate, Farnham-Burlington, 2013, p. 14.

 

 

DIMENTICANZE E NUOVI INIZI

 

Gli italiani passarono dall’entusiasmo per l’impero all’oblio del dopoguerra. La guerra scatenata dal fascismo contro l’Etiopia era stata però un evento centrale, sia per i risvolti internazionali, sia in una prospettiva di storia nazionale, dato il suo forte impatto sulla vita degli italiani.

Olindo De Napoli, Introduzione, in Carmelo Sirianni, VI Battaglione Libico, Viella, Roma, 2016, p. 9.

 

Quell'esperienza imperiale coinvolse in maniera rilevante gli italiani. In Italia miti coloniali erano già attivi da tempo, ma oltre a usarne di vecchi la propaganda di regime ne forgiò di nuovi, imprimendo loro una forza sino ad allora non conosciuta. Ciò avvenne anche attraverso l'esperienza diretta prima di mezzo milioni di italiani portati nel Corno d'Africa a combattere e poi di circa un centinaio di migliaia che vi vissero da coloni. Non sempre ciò produsse il consenso che il regime si attendeva e, quando pure esso vi fu, si rivelò assai volatile e presto scomparve o si ridimensionò molto. Di fronte alla sconfitta finale, poi, molti dimenticarono.

Nicola Labanca, La guerra d'Etiopia 1935-1941, il Mulino, Bologna, 2015, pp. 256-257.

 

L'ex ministro delle colonie, Alessandro Lessona, il più ostinato negatore dell'impiego in Africa dei gas. Nel novembre 1985 scriveva, ad esempio: "L'Italia condusse la guerra contro l'Etiopia correttamente. Al ministero delle Colonie non giunsero mai notizie che il comando militare avesse dato ordini di usare l'iprite". Continuò a negare sino alla morte, anche dopo che gli erano stati posti sotto gli occhi, nel corso di una trasmissione televisiva, i telegrammi da lui firmati, che autorizzavano l'uso dei gas. Il personaggio viveva certamente in una dimensione onirica, tanto che il 9 settembre 1991, giorno in cui compiva 100 anni, sollecitato da un giornalista a rivelare quale fosse il suo grande rimpianto dei suoi cent'anni, rispondeva: "il fatto che l'Europa non cerchi di riconquistare l'Africa: un baluardo nel caso che i giapponesi o i cinesi ci vogliano attaccare dall'Estremo Oriente".

Angelo Del Boca, L'Africa nella coscienza degli italiani, Mondadori, Milano, 2002,

pp. VII-VIII 

​

Grazie a Sirianni veniamo a sapere che dei gas in buona parte nell’esercito si è a conoscenza; almeno su alcuni fronti se ne ha notizia e se ne parla correntemente. Tutto ciò aiuta a rileggere il silenzio assordante di chi scriverà della campagna etiopica lungo i decenni successivi dimenticando quel terribile capitolo, continuando a obbedire in fondo a quella che era stata una direttiva del regime. Raccontarne sarà ignominioso, perché segno di una guerra combattuta slealmente: ne nascerà una sorta di congiura del silenzio.

Olindo De Napoli, Introduzione, in Carmelo Sirianni, VI Battaglione Libico, Viella, Roma, 2016, p. 54.

 

“Quando ritornammo nel nostro Paese, vittoriosi per volontà e grazia di Dio, a tutto pensammo meno che a impegnarci in atti di vendetta. Il nostro scopo più urgente era quello di organizzare e sviluppare la nostra Patria”.

Haile Selassie, Imperatore d'Etiopia, cit. in Angelo Del Boca, Il Negus. Vita e morte dell'ultimo re dei re, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 364.

bottom of page